Denis Horeau

Cecilia tra Bruno Retailleau, a sinistra, e Denis Horeau, a destra, Direttore della regata Vendée Globe.

Intervista estratta dal sito ©www.vendeeglobe.org

DOMANDA: Denis Horeau, come descriveresti questo Vendée Globe dal punto di vista delle performance?

RISPOSTA: Se guardiamo indietro a questa edizione del Vendée Globe, le prime cose che vengono in mente sono le prestazioni sportive e i record. È impressionante pensare ai 78 giorni e alle 545 miglia percorse in 24 ore! E poi un gran numero di barche ha completato la corsa, più della metà, cosa che non accadeva dal 2004. Nel 2008 il 70% delle imbarcazioni presenti sulla linea di partenza si sono ritirate. Non dobbiamo poi dimenticare che il distacco tra il vincitore e l’ultimo arrivato non è mai stato tanto ridotto. Inoltre c’è il concetto dell’avventura sportiva, che è sempre stato molto presente ed è un elemento forte dell’identità della regata. Ha contribuito a riportare sotto i riflettori l’aspetto sportivo del Vendée Globe. In questa edizione François Gabart e Armel Le Cléac'h sono stati incredibilmente veloci ma, con i loro mezzi, lo erano anche skipper come Tanguy de Lamotte e Alessandro Di Benedetto. Quest’anno, a differenza di quanto accaduto nelle precedenti edizioni, non ci sono stati i tre gruppi nettamente distinti che separavano gli specialisti della regata dagli amanti dell’avventura. Tutti i monoscafi che hanno partecipato al Vendée Globe erano lì per gareggiare. Un’altra cosa da ricordare dell’edizione 2012-2013 è la gioia con cui tutti i marinai hanno affrontato la regata, ad eccezione, ovviamente, di quelli che l’hanno dovuta abbandonare. Ma Alessandro, Tanguy e tutti gli altri erano davvero felici di stare in mare. Continuavano a ripetere: “Ok, non è semplice, dobbiamo risolvere parecchi problemi, ma è proprio una bella esperienza!”. Ricordo che nelle precedenti edizioni del Vendée Globe alcuni skipper si lamentavano molto di più.

DOMANDA: Come te lo spieghi?

RISPOSTA: Credo che i motivi siano due. Il primo è che quest’anno la flotta era composta da venti barche, il numero perfetto, secondo me, perché permette di ottenere un buon equilibrio tra concorrenti, organizzatori e media. Con venti imbarcazioni in gara invece di trenta, ciascuna di loro gode di una maggiore visibilità. L’altro motivo è che non si sono verificate condizioni meteorologiche troppe estreme durante la regata e nessuno degli skipper è stato costretto a passare alla modalità “sopravvivenza”. Inoltre devo dire che la maggior parte delle barche era estremamente preparata e persino gli esordienti avevano una solida esperienza alle spalle. Tanguy e Alessandro sono skipper esperti. Tanguy si è allenato con Michel Desjoyeaux e ha avuto Catherine Chabaud come consulente, quindi anche i marinai che sembravano soltanto uomini alla ricerca dell’avventura in realtà erano in grado di affrontare tutte le difficoltà della corsa. Per quanto riguarda le performance, penso che la gara sia stata equilibrata e matura. Ovviamente sono dispiaciuto che nove barche non siano riuscite a terminare la regata, ma undici equipaggi su venti arrivati al traguardo è un risultato migliore di quello di quattro anni fa. Quando si parla di spirito sportivo, non si può ignorare la determinazione di skipper come Jean-Pierre Dick o Tanguy de Lamotte, i quali non si sono arresi di fronte a serie difficoltà. E che dire di Armel Le Cléac'h e François Gabart, che non si sono concessi nemmeno una pausa in tutta la traversata… Sono rimasto impressionato dall’estremismo positivo dimostrato da molti di loro. Per Jean Le Cam, Mike Golding e Dominique Wavre è stato duro affrontare la Baia di Biscay; è stata la parte più difficile della loro circumnavigazione, ma hanno avuto la possibilità di vedere quanto sarebbe stato clemente il mare Antartico.

“Il termine di 76 giorni suonava benissimo.”

DOMANDA: Prima della partenza, come riferimento usavi un tempo di gara di 76 giorni, cosa piuttosto stupefacente. Alla fine, Gabart e Le Cléac'h hanno completato il percorso in poco più di 78 giorni, dimostrando come alla fine non fossi tanto lontano dalla realtà…

RISPOSTA: Quei 76 giorni non erano una stima fatta da me. Avevo chiesto a Evrard (Nota dell’editore: un membro del team organizzativo) di predisporre una mappa con le indicazioni dei tempi di percorrenza delle barche in modo che la gente potesse vedere materialmente dove si trovavano giorno per giorno. La nostra stima era basata sugli 84 giorni di Michel Desjoyeaux nel 2008, tenendo conto delle 40 ore che aveva trascorso in porto quando era dovuto tornare indietro, quindi si aggirava intorno agli 82 giorni. Sappiamo che il tempo di gara del vincitore di solito si riduce di circa due o tre giorni a ogni nuova edizione, quindi, quando Guillaume suggerì 76 giorni, gli dissi che sembrava molto ambizioso ma che poteva andare. Ho pensato che suonasse davvero bene, era un’iniziativa coraggiosa quella di staccarsi dalla più prudente stima di 78 giorni per osare i 76, e molti sono rimasti sorpresi. Non era una previsione, più che altro un modo per mostrare al pubblico dove si sarebbero trovati i primi in classifica in questo o quel giorno se il ritmo della gara fosse stato intenso. Volevamo che il pubblico potesse davvero immaginare la situazione, sapere quando le barche avrebbero doppiato i tre capi principali. Non sto dicendo di aver previsto quello che sarebbe accaduto, ho semplicemente osato pensare che non sarebbe stato impossibile. Guillaume e io eravamo d’accordo su questo punto e alla fine abbiamo aggiunto un tocco di ottimismo a tutto il quadro.

DOMANDA: In cosa questa edizione del Vendée Globe può essere paragonabile alle precedenti?

RISPOSTA: All’inizio avrei detto che sarebbe stata l’edizione della ragione e della maturità. Ed era ragionevole, considerati il numero di barche presenti, il livello di preparazione sia dei mezzi sia degli skipper e i cambiamenti nella posizione delle porte dei ghiacci che non sono stati così drastici come si sarebbe potuto pensare. La rotta effettiva del 2012 era più corta di quella del 2008 perché quattro anni fa le porte dei ghiacci nel Pacifico erano state spostate molto di più, rendendo la rotta finale più lunga. Credo che questa sia stata un’edizione equilibrata e di grande successo, con molti concorrenti, un’incredibile preparazione delle barche, nuovi record e una straordinaria risposta da parte del pubblico. È un po’ come risolvere il cubo di Rubik: sembra difficile ma alla fine tutti i pezzi vanno a posto. Quest’anno è andato tutto piuttosto bene. Gli unici dispiaceri sono legati alle tre collisioni, che comunque non sono state provocate da errori degli skipper o problemi delle barche, e alle tre chiglie danneggiate. Non c’è molto da dire in proposito, eccetto che lavoreremo su questo aspetto per evitare che accada di nuovo. E poi c’è stata la squalifica di Bernard Stamm, anche se è avvenuta in un contesto specifico, con norme e regolamenti molto precisi.

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